Genitori e figli di altri mondi

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La migrazione è un evento traumatico, poiché implica un’interruzione nel continuo scambio fra l’individuo e la sua comunità di riferimento e produce una discontinuità in quel processo di rispecchiamento reciproco tra interno ed esterno, garante della possibilità soggettiva di dar senso all’esperienza.

Senza questo rispecchiamento l’individuo rischia di perdere le coordinate per orientarsi nel mondo, poiché gran parte di suoi pensieri e delle sue azioni assumono un significato differente per chi non appartiene alla stessa cultura.

Quando gli immigrati riconoscono e decodificano le norme implicite che regolano i rapporti umani nella nuova cultura, nonché le rappresentazioni che esse presentificano, possono sentirsi chiamati a una scelta, spesso drammatica: fra il vivere nel proprio mondo originario per cercare di non perdere il senso d’identità, o entrare a far parte del nuovo mondo ma col timore di perdere se stessi. Sia il rifiuto che l’assimilazione conducono a meccanismi che producono sofferenza e che spesso si trasmettono nelle generazioni successive.

Se la migrazione rappresenta una situazione di vulnerabilità, essa può divenire più drammatica in alcune fasi del ciclo di vita in cui l’essere umano è maggiormente esposto a un rischio di tipo evolutivo.
Il periodo intorno alla nascita costituisce un momento di particolare fragilità, quando il contenimento, la manipolazione del corpo e la presentazione del mondo da parte della madre al bambino sono di fondamentale importanza per la sua futura salute psicofisica. Le donne migranti, dopo la nascita del bambino, vivono spesso uno stato di confusione e insicurezza, poiché nell’impatto con la nuova cultura vengono messi in crisi i loro riferimenti per orientarsi nel mondo. Non hanno certezze su cui fare affidamento e le loro rappresentazioni sull’identità del bambino diventano incerte. Nel modo di maneggiare il loro piccolo trasmettono i dubbi, le paure, i traumi del loro viaggio migratorio. Stabilendo una relazione insicura rischiano di passare ai loro piccoli una visione incerta del mondo, frammentata, instabile e confusa.
Oltre alla nascita e ai primi anni di vita di un bambino, anche l’ingresso nel mondo della scuola e l’adolescenza rappresentano due momenti particolarmente critici.

Con l’inizio della scuola il nucleo familiare affida i propri bambini alla collettività affinché li educhi, ed è intuitivo comprendere la complessità di questo passaggio quando vi è scarsa familiarità con l’istituzione deputata a raccogliere tale delega. Anche i criteri di valutazione dell’apprendimento possono generare incertezza. Se nella cultura occidentale la precocità è considerata un valore, talvolta a un prezzo psichico elevato, in altre il bambino ha la libertà di apprendere secondo tempi propri senza che questo costituisca un segno di ritardo. Il conflitto fra casa e scuola, tra attese diverse può confondere il bambino, costretto a scegliere tra due logiche antinomiche.

L’adolescenza rappresenta la fase in cui si acuiscono tutte le problematiche in precedenza non risolte. Se per tutti i ragazzi viene vissuta come un periodo di grande vulnerabilità, ancor più lo è per gli adolescenti stranieri, poiché gli interrogativi sulle proprie origini, tipici di questa età, oltre che l’appartenere a due differenti culture possono creare scissioni e fratture talvolta molto dolorose e sfociare nell’abbandono scolastico, nella depressione o in comportamenti antisociali. Tutti i genitori sono preoccupati dinanzi alle modificazioni repentine dei figli adolescenti ma nelle situazioni di migrazione s’insinua ancor più il dubbio su come essere madre e padre poiché entrano in gioco, oltre alle dimensioni adolescenziali, una serie d’ingredienti culturali del proprio paese d’origine che devono “meticciarsi” con quelli del paese ospitante.

Aiutare le persone straniere a riappropriarsi e ricostruire un senso d’appartenenza, senza dover compiere una scelta fra le rappresentazioni della cultura originaria e quelle di accoglienza, è stato uno dei nostri principali obiettivi. Solo quando la molteplicità è vissuta come un arricchimento del mondo interiore, si può imparare a convivere con l’iniziale sensazione di sospensione e d’incertezza, a ritessere nel tempo i legami e le rappresentazioni fra il mondo di qua e il mondo di là, tra passato e futuro. Per giungere a una sintesi che non cancelli le differenze è necessario, infatti, che i due poli non siano vissuti in conflitto, perché l’individuo non sia costretto a una mutilazione dell’identità, un po’ come accade ai figli dei genitori separati quando questi vivono in perenne ostilità.

Autore: Dott.ssa Annamaria Migliore