Gli “universali” sull’infanzia

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Molti studi antropologici aiutano a riconoscere l’esistenza di universali declinati in mille diverse modalità̀sulla natività. E’certamente un universale il dichiarato amore per l’infanzia, così come la “callipedia”, l’arte di far crescere bambini belli.

Ovunque le madri durante la dolce attesa adottano particolari misure: evitano spaventi, ascoltano musica, soddisfano le voglie nella scelta dei cibi; i padri devono parlare dolcemente ai bambini e il gruppo intorno deve raccontare i propri sogni di buon auspicio alla futura madre.

Nel mondo occidentale si pensa di amare i bambini nel modo giusto amando soprattutto i propri e quelli simili a loro, si ritiene che volere fortemente un figlio sia indispensabile per renderlo felice. Il desiderio del figlio ha preso il posto dell’antico istinto materno e spesso viene utilizzato per definire una buona o una cattiva madre, mentre in alcune culture sono i bambini a scegliere di venire al mondo; la cultura del figlio desiderato è dunque una delle tante possibili. Non è sufficiente desiderare un bambino per garantirgli la felicità, vuoi che venga declinato al singolare, il prezioso e superprogrammato bambino d’oro, vuoi che la sua culla sia di gruppo come in alcune culture tradizionali.

Esiste anche un altro triste universale: i bambini sono maltrattati in ogni luogo e in ogni epoca anche se con modalità̀ diverse. Ovunque essere femmine è più̀ difficile che essere maschi e le bambine sono trattate peggio. I piccoli sono fragili, dipendenti dagli adulti per la sopravvivenza e l’umanizzazione, particolarmente maltrattabili. L’angoscia dei genitori e dei gruppi rispetto a questa missione può̀ sfuggire al controllo e portare alla distruttività.

Nel mondo occidentale è aumentata la sensibilità̀ nei confronti dei bambini insieme alla consapevolezza che sono un bene comune, per cui si desidera per loro libertà e felicità. Tuttavia la precarietà̀, la complessità̀ e la solitudine in cui si vive rendono difficile accoglierli e proteggerli. E in certe situazioni, come nella migrazione e nell’esilio, la fragilità̀ dei genitori diventa estrema.
(da “A ciascuno la sua. Racconti e ritratti di famiglie”)