Genitori e figli più speciali

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Che sia Dio o il genio della natura, il caos o le leggi fisiche, possiamo noi esseri umani trovare un ordine, distribuire bellezza e salute? O forse il nostro essere umano, la nostra vitalità trova spazio nello scarto tra imperfezione e perfezione?

Si chiede un papà di un bambino affetto dalla sindrome di Down, dove la disabilità diviene metafora delle debolezze umane. Per i figli speciali ci vogliono genitori speciali, “più speciali”, in grado di valorizzare il figlio per ciò che è, apprezzando i suoi piccoli sforzi di autonomia, perché le conquiste ottenute con grande fatica sono più significative.

Ogni bambino è bambino a modo suo. Il suo mondo non è riconducibile a una classificazione stereotipa di caratteri. Non è un Down, parola che definisce confondendo la parte con il tutto, ma un bambino affetto da una sindrome genetica, con la propria individualità. Non è vero che tutti i portatori di una malattia genetica si somigliano tra loro. Ognuno è diverso dall’altro. Allo stesso modo la disabilità è una caratteristica ma non costituisce l’essenza di una persona. Talvolta per la sua cronicità essa diviene drammaticamente l’unico segno riconosciuto in cui gli individui con handicap sono visti solo come un corpo frammentato, senza storia e persino senza umanità. La disabilità spesso non è una malattia ma una condizione di vita: essa comporta l’impossibilità o la fatica di compiere certi gesti o operazioni mentali, ma non implica che la persona non possieda abilità operative o intellettive e non sia capace di sentimenti ed emozioni.

Così come ogni persona è diversa dall’altra, ogni patologia avrà un impatto diverso in funzione della personalità dei genitori, del loro livello di attese e del contesto culturale.

(da “A ciascuno la sua. Racconti e ritratti di famiglie”)